La vangatura è un’operazione semplice ma di estrema importanza per il terreno. Si tratta di una lavorazione che si prefigge lo scopo di creare un ambiente fisico più ospitale per le piante che verranno seminate o trapiantate nei cicli successivi.
Ha, in sostanza, lo stesso obiettivo dell’aratura ma si pratica senza l’ausilio di mezzi meccanici facendo affidamento solo su strumenti manuali (vanga e zappa) o, al massimo, di potenza limitata (motozappa).
La vangatura consiste essenzialmente nel rivoltamento delle zolle del terreno fino a una profondità che può variare tra i 20 ed i 30 centimetri.
L’epoca ideale per la vangatura è l’autunno, periodo in cui il terreno è umido al punto giusto senza essere eccessivamente bagnato o zuppo (si dice che “è in tempera”).
In queste condizioni il terreno può essere lavorato, più o meno facilmente, in modo da rendere più soffice il letto di semina/trapianto e più agevole la germinazione e l’esplorazione radicale della porzione di suolo limitrofo (detta rizosfera in modo difficile), fonte di acqua ed elementi nutritivi.
Una buona vangatura aumenta gli scambi ossigenativi tra suolo ed atmosfera. La presenza di ossigeno nel terreno è fondamentale essendo, anche se non tutti lo sanno, il maggiore elemento – in termini di volume – presente nel terreno.
Succede però che nei terreni molto argillosi, soprattutto in seguito a forti piogge, il suolo si presenti troppo compatto e asfittico; ciò è deleterio per il normale sviluppo radicale e per l’assorbimento degli elementi.
Un terreno compattato, inoltre, comporta ulteriori svantaggi: un drenaggio insufficiente che aumenta il rischio di ristagno idrico e l’assenza di scambi gassosi con l’atmosfera che pregiudica il normale svolgimento dell’attività di microflora e fauna terricola utile. Quest’ultime componenti sono fondamentali per l’evoluzione dei processi di umificazione e mineralizzazione, in pratica, per la formazione del giusto grado di fertilità e strutturazione.
Il terreno quindi ricava molti vantaggi dalla vangatura. Dal punto di vista fisico, innanzitutto, ci permette di riportare in superficie gli strati più profondi ed aumentare la porzione di suolo esposta agli agenti atmosferici che disgregano le particelle terrose.
Dal punto di vista chimico, inoltre, proprio questa azione frantumante aumenta la porosità con l’effetto di mettere a disposizione dell’assorbimento radicale una maggior quantità di aria, acqua e nutrienti favorendone, per di più, la relativa traslocazione lungo il profilo del suolo.
Ulteriori vantaggi della vangatura:
Vangare un terreno, di per sé, è semplice ma abbastanza faticoso. Cosa bisogna fare:
E’ buona norma integrare la vangatura con una buona concimazione organica di fondo. In questo caso, però, è opportuno vangare più in profondità oppure operare una doppia vangatura lavorando il terreno in due fasi, prima in un senso e poi nell’altro.
Inoltre per chi ha l’esigenza di modificare la struttura o il pH del proprio terreno, può approfittare della vangatura per aggiungere le sostanze adatte come ammendanti e correttivi.
Buon lavoro!
E’ inutile negarlo: i cambiamenti climatici incidono ed incideranno sempre più sulle vite di tutti noi! E gli effetti si toccano già con mano: aumentano le zone che soffrono di carenza idrica, siccità, desertificazione (ovvero l’ascesa in latitudine delle zone ove la vegetazione tipica non trova più l’optimum per i normali cicli vitali).
Sembra una impresa titanica, in effetti molti studi divergono sulle teorie dell’aumento delle temperature e sulle conseguenti modifiche climatiche, a volte anche disastrose, non solo fisicamente ma anche economicamente. È veramente un problema antropico, dovuto cioè all’espansione e alle pretese commerciali umane, o è solo una normale ciclicità ambientale (ricordiamo le ere e microere glaciali)?
Anche nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa, utilizzando le fonti energetiche rinnovabili invece che le risorse fossili di carbonio (petrolio e derivati, gas, carbone); ma anche adottando buone pratiche colturali e selvicolturali, aumentando la biodiversità, effettuando lavorazioni essenziali e oculate, e non per ultimo impiegando responsabilmente le risorse idriche.
Lo stiamo notando sempre più anche in Italia, pure in zone dove non si sarebbe mai immaginato di avere carenze idriche, anche sulle Alpi.
E’ necessario risparmiare il prezioso liquido, l’unico veramente indispensabile sul nostro pianeta. È necessario averne a disposizione per i momenti più critici delle nostre colture.
Questo spinge sempre più la ricerca a trovare metodi per risparmiare risorse idriche o addirittura usare fonti alternative di irrigazione.
Questo concetto si estremizza nell’utilizzo di acque salmastre o addirittura saline (ricordia
mo semplicemente che il 97% dell’acqua sul nostro pianeta è salata, e il 2% è indisponibile perché allo stato solido nei ghiacciai e nelle calotte polari).
Non è del tutto vero: il contatto diretto con acque ricche di sali (soprattutto sodio ma anche potassio, magnesio, etc.) influisce negativamente su microflora e microfauna, indispensabili per la corretta evoluzione fisica e chimica del suolo (ricordiamo tessitura e processi di umificazione). E oltretutto inibisce lo scambio osmotico radicale, ovvero il mezzo impiegato dai vegetali per assorbire l’acqua e i nutrienti in essa disciolti. Non per ultimo, potrebbe essere determinante per la scelta colturale, dato che molti sali o soluzioni da essi derivanti così possono modificare il pH del substrato, aumentando la salinità del terreno.
Il trucco consiste nell’evitare che i sali giungano o si accumulino in prossimità dell’apparato radicale, inibendone le funzioni osmotiche, coltivando su substrati ricchi di sabbie, molto drenanti quindi, e diffondendo l’acqua negli strati sottostanti la zona radicale. Facendo sì che il capillizio venga raggiunto dall’umidità dovuta all’evaporazione.
Naturalmente dobbiamo conoscere molto bene le tolleranze e il tipo di apparato radicale delle specie che si andranno a coltivare. Più profondo sarà l’apparato radicale, e più alto sarà il tenore di sali in soluzione, più in basso dovrà trovarsi la fonte di irrigazione.
Inoltre, maggiore sarà la piovosità media annua della stazione, maggiore sarà il dilavamento dei sali, minore il loro accumulo, e migliori i risultati.
Tale tecnica colturale potrà essere applicata quindi non solo a specie di interesse economico che tollerano bene alte concentrazioni di sali, come barbabietola, orzo e sorgo, ma anche a quelle meno tolleranti, come patate, pomodori e lattuga.
Coltivare è un gesto antico, arcaico, sapiente. Non a caso coltivare e cultura hanno la stessa etimologia, dal latino colĕre, appunto coltivare.
Coltivare un orto significa coltivare un sapere, una conoscenza che ha a che fare con dei gesti precisi e coscienti.
Coltivare significa imparare. Imparare a conoscere sé stessi innanzitutto, gli esseri viventi, il funzionamento di una comunità (biologica), l’importanza di curare un bene collettivo (l’ambiente) che spesso dimentichiamo nelle nostre vite complicate.
Tutti dovrebbero avere la possibilità di coltivare un orto, un pezzo di terra, proprio o in affitto, anche piccolo: la dimensione non conta, bastano 30 mq.
Coltivare un orto è un’attività che coinvolge non solo l’abilità manuale, ma stimola anche le conoscenze scientifiche e lo sviluppo del pensiero logico. Prendersi cura di un orto implica attenzione ai particolari, ai tempi d’attesa, educa alla pazienza ed alla lungimiranza.
La scelta dei prodotti da coltivare, inoltre, aiuta a riconoscere le tradizioni locali e familiari. Coltivare l’orto unisce l’approccio creativo e l’educazione ambientale, consente di avvicinarsi alla vita all’aperto, al rispetto dei tempi della natura, all’impegno, alla regolarità ed alla determinazione, permette l’osservazione diretta dei fenomeni naturali favorendo l’integrazione uomo-ambiente. L’orto è da curare come un piccolo fazzoletto di natura.
L’orto è un laboratorio vivente dove manualità e conoscenza possono esprimersi sperimentando odori, colori, sapori e sensazioni diverse ma sempre legate dalla passione per la terra.
Seminare o trapiantare, seguire l’accrescimento della pianta, prendersene cura ogni giorno fino a raccoglierne il frutto migliora la percezione delle proprie capacità, ci fa credere di più in noi stessi perché rende concreto il nostro impegno.
Coltivare l’orto è un’attività senza controindicazioni se non quella che una volta iniziata è difficile smettere. L’orto va bene da 0 a 101 anni ed è democratico perché va bene per tutti: poveri, ricchi, bianchi, neri, gialli.
Ci dovrebbe essere un orto in ogni scuola, carcere, contrada, quartiere, paese, città. Ci dovrebbe essere un orto in ogni terrazzo o balcone. Il nostro pianeta sarebbe più verde, più colorato; la gente sarebbe più felice, sorridente, più sensibile, meno aggressiva, socializzerebbe di più e meglio, forse anche senza categorie e preconcetti.
L’orto eleva l’ingegno, il carattere, la salute, la fiducia in sé stessi; l’orto dovrebbe essere patrimonio mondiale dell’umanità!
In fin dei conti sono un inguaribile ottimista: mi piace pensare che coltivando un orto saremmo tutti più rispettosi della natura, del prossimo e, soprattutto, di noi stessi!
Allora la prossima volta che al semaforo vi manderanno a zappare … rispondetegli con un sorriso 😊
Il marciume apicale è un’alterazione o fisiopatia che colpisce diverse specie coltivate, in particolare le Solanaceae (pomodoro, peperoni, etc.) ma anche ortaggi appartenenti ad altre famiglie come lo zucchino.
I sintomi del marciume apicale sono molto evidenti e riconoscibili: la punta dei frutti colpiti manifesta, in un primo tempo, una colorazione verde traslucida che progressivamente marcisce fino ad annerire completamente, da qui il nome culo nero, espressione gergale per intendere il marciume apicale (detto anche culo di scimmia).
Il marciume apicale del pomodoro e degli altri ortaggi è una problematica dovuta ad un insieme di condizioni ambientali concomitanti; in particolare si tratta di squilibri fisico-chimici del terreno. Tali disfunzioni comportano un cattivo assorbimento del calcio.
Il calcio svolge un’importante funzione nutritiva nel ciclo vitale delle piante contribuendo alla formazione dei tessuti vegetali ed alla vigoria del fusto, delle radici, dello stelo e degli altri organi vegetali (foglie e frutti).
In altre parole, come negli esseri umani, il calcio contribuisce alla formazione dello “scheletro” dei vegetali determinandone il portamento eretto e più o meno robusto.
Anche se presente nel terreno, non sempre le piante riescono ad assorbire il calcio in modo ottimale. Questo avviene in particolare nei terreni con pH troppo acido, in condizioni di scarsa ventilazione o temperature troppo elevate. Quest’anno infatti, caratterizzato da temperature sopra la media, si assiste ad un’elevata incidenza del marciume apicale.
Oltre al marciume apicale (visibile solo al momento della maturazione dei frutti), altri sintomi più precoci possono indicarci una carenza di calcio: ingiallimento delle foglie (visibile prima sulle foglie più vecchie), accartocciamento fogliare e blocco della crescita.
Anche la fioritura viene bloccata e ritardata ed i fiori permangono poco sviluppati per tutto il ciclo colturale.
Anche una discontinua disponibilità di acqua può determinare la comparsa del marciume apicale del pomodoro. Il calcio è infatti un elemento che nella pianta viaggia nel flusso evapotraspirativo (linfa grezza). Si concentra dunque, nelle zone con maggiore presenza di stomi, ossia le foglie, a discapito dei frutti che non son predisposti allo scambio idrico.
Fattori predisponenti il marciume apicale sono quindi l’alta temperatura e la bassa umidità relativa che, aumentando il suddetto flusso, dirottano la linfa grezza (quindi anche il calcio) verso l’apparato fogliare.
E’ importante quindi che la pianta goda di un flusso idrico regolare e costante.
Come sempre in agricoltura i migliori risultati si ottengono agendo in prevenzione; ecco alcuni rimedi che possono aiutarci a prevenire il marciume apicale del pomodoro e degli altri ortaggi:
Un consiglio sempre utile è quello di diversificare gli appezzamenti coltivati in specie e varietà, ruotando ogni anno la zona dell’orto destinata alla coltivazione del pomodoro e degli altri ortaggi.
E’ opportuno inoltre seminare varietà diverse per aumentare la biodiversità del nostro orto e fare in modo che si ottenga la miglior risposta in termini di impollinazione e resistenza alle malattie/fisiopatie.
Quando in stagioni come quella attuale, tragicamente segnata dalla siccità, la pioggia non è sufficiente da sola a garantire lo sviluppo delle nostre piante da orto, è necessario far ricorso all’acqua di irrigazione.
Nelle regioni del sud è giocoforza poter contare su di una fonte idrica per il fabbisogno dell’orto in quanto, data la scarsità di pioggia, lo sviluppo regolare delle piante sarebbe altrimenti impossibile. Discorso un po’ meno scontato al nord, almeno fino a qualche tempo fa, quando si ricorreva alle irrigazioni di soccorso solo saltuariamente e, più che altro, per le colture industriali.
Oggi come oggi, anche nelle regioni dal clima più favorevole, la distribuzione delle precipitazioni è molto irregolare nell’arco dell’anno. Quindi, anche al nord, è fondamentale avere a disposizione acqua corrente da impiegare all’occorrenza per dissetare le nostre piante.
Bagnare regolarmente le piante da orto è oltremodo importante in quanto, trattandosi per lo più di specie erbacee, presentano un apparato radicale ridotto che si sviluppa solo negli strati superficiali del terreno dove l’acqua scarseggia, sia a causa della percolazione, sia per effetto dell’evaporazione.
Dopo questa necessaria premessa, ecco alcuni consigli su quando innaffiare l’orto, come risparmiare acqua ed adoperarla al meglio:
Comunque saranno le stesse piante a darvi le giuste indicazioni: basterà osservarle ed intervenire tempestivamente quando queste mostrano i primi segni di appassimento.
Negli orti tradizionali in genere si distribuisce l’acqua a pioggia: è utile allo scopo un tubo di gomma alla cui estremità si colloca un polverizzatore (o il dito del contadino!). Oppure per piccole superfici è comodo utilizzare l’intramontabile innaffiatoio.
Abbastanza frequente è, inoltre, la distribuzione per infiltrazione laterale. Si tratta di riempire d’acqua i solchi sui cui lati sono disposte le piante ortive. Va da sé che i solchi devono essere in piano, quindi se la vostra superficie è in pendio, i solchi vanno fatti per traverso oppure a gradini.
E’ sempre più diffusa anche la sub-irrigazione o irrigazione sotterranea: l’acqua viene distribuita mediante la cosiddetta manichetta, un tubo di plastica dotato di piccoli fori. I vantaggi sono molteplici: risparmio d’acqua e tempo, frutti puliti, controllo delle malerbe, ridotta erosione del suolo.
Ogni coltura ha un proprio fabbisogno idrico. Nella tabella a seguire riportiamo il fabbisogno idrico indicativo medio giornaliero, espresso in litri/m2, per un tipico orto a carattere familiare. Si tratta di informazioni indicative, variabili in base all’andamento delle temperature, delle piogge, etc.
E nel caso abbiate un impianto di irrigazione a goccia, ecco la tabella dei fabbisogni idrici consigliati